Eccoci giunti quasi sulla soglia che introduce nella Pasqua, la Madre e Regina delle feste liturgiche. Questi particolari giorni di sofferenza e di tenerezza ci stanno conducendo verso il mistero pasquale, nel cuore della fede cristiana. Ci accompagneranno nei giorni cruciali della vicenda di Gesù, il quale li trasforma in orizzonti di significato luminoso e doni di salvezza.
“Quando non si ha più niente da dare, perché si è dato tutto, allora si diventa capaci di veri doni”. Sono parole di don Primo Mazzolari che si riferiscono ai doni più grandi che la fede possa offrire. Tanto grandi che è difficile, quasi impossibile, legarli a delle parole. A quell’Amore divino, che profuma di dismisura, si innestano e fanno riferimento gesti e azioni che abbiamo avuto la grazia di ammirare in sorelle e fratelli nel corso di questa Quaresima, scandita dal rovinoso passaggio del coronavirus.
Gettando uno sguardo dentro la nostra esperienza di vita, non facciamo fatica a registrare una diversità che ci abita rispetto agli anni precedenti. Siamo stati costretti, in questo tempo, a reinventare le nostre giornate, il nostro modo di vivere, segregati in casa, spinti a porre attenzione alle azioni più elementari, a fermare una vita frenetica, a guardarci in profondità. Giorni di sofferenza e di tenerezza. Giorni abitati da paure, e noi segnati negli occhi e nel cuore dal richiamo e dalla presenza della morte, collocati in un deserto di relazioni, di relazioni “ferite”, impreparati a combattere il male.
Anche Gesù entra nel deserto e per quaranta giorni lotta contro il male. Ci offre un grande esempio. Chi più di lui è ferito? Tradito e venduto da un amico, rinnegato, abbandonato. Eppure non è scappato: ha affrontato, ha attraversato fino in fondo la sua umanità ferita. Non dobbiamo quindi aver paura delle nostre fragilità. Solo da lì può partire la risurrezione. Solo passando dalle nostre scomodità interiori possiamo essere segno di una vita nuova. Lui, il Cristo, è lì a dirci che la Pasqua c’è, che si può vivere nella gioia, che risorgerà la speranza e ci rimetterà insieme in cammino, per annunciare Dio e amare il prossimo.
La Grande Settimana che ci attende non ci riserva è vero, la bellezza e la solennità dei divini misteri celebrati insieme; ci consegna il mistero profondo della sofferenza e della debolezza… ma anche e soprattutto della presenza del Signore Gesù.
Accogliamo la sua consolazione. Questo significa che tutto andrà bene? Ogni mamma, al bambino che è caduto, accogliendolo in un abbraccio, ripete: “Non è nulla… Vieni!”. Noi siamo come bambini nelle braccia di Dio. La Chiesa è madre che custodisce il senso della vita, è questo grande abbraccio che dice: “Coraggio ce la stiamo facendo”. Anche noi, in piedi, da risorti, riprenderemo a camminare insieme. È stato l’invito costantemente ripetuto nel corso di questi anni della mia presenza e del servizio pastorale tra voi.
Una domanda mi risuona: “Cosa ci lasceranno questi giorni e soprattutto a cosa ci inviteranno?”. Sicuramente siamo chiamati a invocare nella preghiera, a rinnovarci in profondità, a esercitare un operoso amore verso i fratelli. Ma è possibile individuare un impegno comunitario da vivere nel ricordo di questa esperienza? Mi affido ai vostri preziosi suggerimenti.
Infine questi giorni pasquali ci accompagneranno a vivere un altro gioioso “passaggio” del testimone: quello della paternità e del servizio pastorale, dalla mia persona a Monsignor Gualtiero Sigismondi, il nostro nuovo vescovo di Orvieto-Todi. Di giorno in giorno vengo confermato in una sempre più chiara consapevolezza del dono grande che in lui, il Signore ha fatto alla nostra Chiesa diocesana. Molti di noi ne conosciamo l’amabilità, la sapienza delle cose di Dio e l’esperienza del vissuto umano, l’ispirazione comunicativa e la forza scultorea delle sue parole. Nell’attesa del suo ingresso, accompagniamolo con affetto e nella preghiera.
Un impegno per tutti: non venga meno, in questo tempo di grazia e di dolore, il nostro coraggio e la nostra fede, apriamo il cuore alla speranza, riscopriamo la bellezza della Parola di Dio, preghiamo gli uni per gli altri, testimoniamo intorno a noi che la Chiesa è viva.
Infine rivolgo il mio saluto a tutti gli ammalati, ai numerosi e generosi samaritani “della corsia”, ai quali va la nostra riconoscenza, alle famiglie e in particolare ai giovani, ai nostri sacerdoti, ai diaconi, alle persone consacrate.
A tutti voi sorelle e fratelli, l’augurio e la certezza che il Vivente, il Risorto è presente con l’energia della Vita nuova. Sia Lui a benedirci.
Orvieto, 26 marzo 2020
+ Benedetto Tuzia, Amministratore Apostolico di Orvieto-Todi