Il noto motto di San Paolo, spes contra spem (Rm. 4,18), “la speranza contro ogni speranza”, può essere ritradotto nel nostro tempo con le parole “essere speranza” per “dare speranza”. Giorgio La Pira scelse questo passo per ispirare e raccontare il suo impegno per la pace, mentre Aldo Moro considerava la speranza «la certezza delle cose future» e la consapevolezza che c’è sempre un “più di vita” nelle crisi personali e sociali. Entrambi sono stati testimoni di speranza, ma ogni stagione politica distingue coloro che sperano da quelli che disperano. L’esperienza di un anno luttuoso, costellato da desolazione e da errori, ha fatto emergere false speranze e ferite personali, politiche ed ecclesiali, per molto tempo taciute: tutto era iniziato con lo slogan “ne usciremo migliori”, poi la rassegnazione e la rabbia sociale sono gradualmente cresciute, ma chi spera continua a rimanere in prima linea anche a costo della vita.

Le sabbie mobili che risucchiano la speranza possono essere bonificate, come ha ribadito il vescovo di Milano, mons. Mario Delpini in una recente intervista al Corriere della Sera: «Intendo lanciare un allarme: se il virus occupa tutti i discorsi non si riesce a parlare d’altro. Quando diremo le parole belle, buone, che svelano il senso delle cose? Se il tempo è tutto dedicato alle cautele, a inseguire le informazioni, quando troveremo il tempo per pensare, per pregare, per coltivare gli affetti e per praticare la carità? Se l’animo è occupato dalla paura e agitato, dove troverà dimora la speranza?»[1].

È per questo che, oltre al vaccino sanitario, nel dibattito pubblico si inizia a riflettere anche sul “vaccino sociale” che è composto «dalla rete di legami di solidarietà, dalla forza delle iniziative della società civile e degli enti intermedi che realizzano nel concreto il principio di sussidiarietà anche in momenti così difficili», come scrivono i vescovi nel Messaggio per la Festa del 1° maggio 2021. La storia di questi mesi – si legge sempre nel Messaggio – sembra quella dei tempi di Neemia quando l’impegno del popolo d’Israele a ricostruire le mura di Gerusalemme divideva la popolazione «tra chi sta a guardare criticando e chi invece mette tutto l’impegno possibile perché nasca qualcosa di nuovo». Infatti, come ripete spesso il Papa, «peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi».

Presidenti come Biden e Draghi hanno precisato che la ripresa economica potrà ripartire quando almeno le categorie più deboli saranno vaccinate e anche Papa Francesco ha ribadito che “vaccinarsi è un dovere morale”. Per garantire la ripresa gli Stati sono chiamati a gestire la campagna di vaccinazione fornendo dati certi, frutto della ricerca scientifica e della sperimentazione farmaceutica. La popolazione contraria ai vaccini – che potrebbe aggirarsi intorno al 30% – potrebbe cambiare idea non con la coercizione, ma con la fiducia basata sulla correttezza dell’informazione, l’onestà dell’azione politica e la speranza di salvare la vita dei più deboli. Ogni scelta è certamente rimandata alla coscienza personale, ma la coscienza sociale, da cui dipende la responsabilità di vivere da cittadini e non da eremiti, nasce sempre dalla libertà “per” l’altro e comporta diritti e doveri.

Ci chiediamo: può la politica aiutare la società civile a sperare? L’azione politica è comprensibilmente schiacciata sul presente, anche se non mancano raggi di luce che rischiarano la notte e fanno vedere lontano. L’approvazione dell’assegno unico familiare è una conquista sociale; l’apertura alla giustizia riparativa consolida la civiltà giuridica ereditata dai padri del diritto; gli investimenti nella cultura aiuteranno a coltivare il bello e il vero; i tavoli aperti sulle crisi di alcune grandi industrie permetteranno ai più deboli di essere rappresentati; la riforma della pubblica amministrazione sbloccherà la paralisi della macchina dello Stato; la conferenza Stato e Regioni sta accelerando le decisioni, sta diventando una terza Camera e fa sentire la nostalgia di una Camera delle Regioni. Il Presidente Draghi, dirigendo queste scelte, fornisce credibilità al governo e forza all’UE, che ha bisogno di voci come la sua per distinguere gli ordinamenti politici e gli investimenti internazionali che garantiscono la democrazia da quelli che, invece, la negano. Questa è però solo la parte del bicchiere mezzo pieno, all’appello mancano tutte le firme che il Paese aspetta da anni.

Il dibattito politico primaverile è invece destinato a polarizzarsi tra le posizioni del PD di Letta e quelle della Lega di Salvini, quasi a chiudere il governo in una presa simile a quella di uno schiaccianoci.Davanti al segretario dei democratici si pone una scelta legata alla sua identità politica: essere l’ultimo giovane del vecchio modello politico, oppure il primo “veterano” politico a costruire il nuovo modello. Salvini, invece, è chiamato ad abbandonare la funzione del politico “influencer”, anche perché i suoi slogan non bastano più nemmeno al popolo leghista.

Oltre alla discussione interna ai partiti e ai gruppi parlamentari, per la politica italiana è cambiato anche qualcos’altro nel modo in cui i cittadini si approcciano ai temi di attualità. L’agenda pubblica e la costruzione del consenso sono sempre più dettati dagli influencer. Pesano di più le loro posizioni di quelle di molti leader politici. Aurora Ramazzotti, usando Instagram per raccontare dei commenti sessisti ricevuti mentre faceva jogging, ha rilanciato il dibattito sulla parità di genere; si è discusso del ddl sull’omotransfobia dopo la presa di posizione di Fedez su Facebook; decine di migliaia di giovani hanno approfondito il tema vaccinazione dopo un post di Chiara Ferragni contro i ritardi e i favoritismi della regione Lombardia. Insomma, il nuovo dato politico è riconoscere le posizioni dei creator non come alternativi alla politica, ma come una nuova componente creativa, capace di riunire una community online, capace di diffondere la propria posizione là dove la politica tradizionale non arriva più[2].

Contano le policy, i temi, le community e le competenze; come fossero le “puntate” che compongono un’unica grande storia. Niente piazze, niente sezioni, niente scuole di partito… basta un influencer ed essere collegati e connessi con altre migliaia di persone, utilizzando linguaggi nuovi e i tempi rapidi della rete, mentre la classe politica continua a utilizzare i social solo come vetrine autoreferenziali. È aumentata così la partecipazione, insieme alla polarizzazione e allo scontro sociale, sui temi che animano l’attualità dell’agenda politica. È proprio qui che la politica deve ritrovare la capacità di ricomporre i conflitti, coniugare i principi costituzionali con le scelte concrete e ridare speranza al ruolo dell’Italia in Europa.

Il colpo d’ala rimane quello di scommettere sui principi (costituzionali) di solidarietà e di uguaglianza, di libertà e di sussidiarietà per sostituire l’attuale modello di sviluppo non più sostenibile. Lo stesso modello che ha incubato e introdotto il virus nella sua fortezza, come ha fatto Troia con il cavallo dei Greci. L’unica speranza possibile è quella che, ormai da tempo, ribadisce Francesco come voce nel deserto: «La nozione di ripresa non può accontentarsi di un ritorno a un modello diseguale e insostenibile di vita economica e sociale, dove una minuscola minoranza della popolazione mondiale possiede la metà della sua ricchezza», occorre «lavorare insieme per fornire vaccini per tutti, soprattutto per i più vulnerabili e bisognosi»[3].

Il desiderio di abbracciare “più-vita” non passa da un nuovo “rinascimento”, come alcuni politici propongono, in cui si ri-nasce seppellendo ciò che è stato, ma da un “ri-sorgimento” sociale e spirituale in cui la vita, che porta i segni del dolore e della morte di questo drammatico anno, si rialza dallo stato piegato in cui si trova, rendendo tutti più umani e più vicini.

[1] G. Rossi, L’arcivescovo Mario Delpini: «Milano è una città di solitudini. Non si parli solo di virus», in https://milano.corriere.it/

[2] Per approfondire, Francesco Oggiano, Gli influencer e la politica Netflix, in Will_ita

[3] Francesco, Costruire un mondo solidale è un modo di fare la storia, 8 aprile 2021, in  https://www.vaticannews.va/it/.

10 Aprile, 2021

di Francesco Occhetta