L’uomo di sabbia. Individualismo e perdita di sé, (Vita e Pensiero, Milano 2012, è il titolo di un libro della psicanalista francese Catherine Ternynck il cui contenuto è preso a esempio dal gesuita Giovanni Cucci in un suo articolo pubblicato di recente su La Civiltà Cattolica. Scopo dell’articolo è quello di spiegare che l’uomo può fare esperienza di Dio nel confronto «sapienziale con la Bibbia» accompagnato da alcune parole chiave della Bibbiastessa: il divieto, il fallimento, la narrazione e i sentimenti, il dialogo. Qui analizzeremo solo la parola divieto, rinviando le restanti ad altri approfondimenti. Divieto – scrive Cucci – è la prima grande istruzione che Dio impartisce all’uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, nel giorno in cui tu ne mangerai, certamente dovrai morire» (Gen2,16-17). Una parola del tutto impopolare. Eppure è una parola indispensabile per vivere. E’ un’istruzione che ha formidabili ricadute culturali. Anzitutto a livello pedagogico e psicologico. La psicologia dello sviluppo riassume le tre tappe fondamentali della crescita mediante tre differenti rinunce all’onnipotenza, al credersi il centro di tutto: la nascita, lo svezzamento, la sconfitta edipica (G. Cucci, La crisi dell’adulto. La sindrome di Peter Pan, Cittadella, Assisi 201, pp. 70-81). Sono tre «punti di non ritorno», propri della crescita (nei confronti della condizione prenatale, dell’allattamento, di un legame esclusivo con la madre), indispensabili per entrare nella vita, per diventare uomini e donne.Alla radice di molte richieste di aiuto psicologico c’è spesso la non accettazione della propria verità di creatura, segnata dal limite e dalla fragilità. Non ci si accetta per come si è, non si accetta il proprio corpo, la propria famiglia di provenienza, la propria storia e personalità, le proprie capacità.
La psicanalista Catherine Ternynck, nel libro citato in apertura, nota che quando una generazione si crede il centro di tutto e disattende il divieto, diventa incapace di vivere: «Da qualche decennio vediamo i giovani che arrancano ai margini della vita adulta senza giungere ad intraprenderla. Sembrano in preda a un’angoscia della soglia che non riescono ad oltrepassare». Le culture di tutti i tempi hanno sempre introdotto il giovane alla vita mediante i riti di iniziazione. Il loro compito – come i sacramenti dell’iniziazione cristiana – era appunto quello di aiutare il nuovo venuto a superare la soglia, a entrare nell’età adulta, acquisendo consapevolezza con l’aggressività, la sofferenza e la morte – in altre parole con la propria fragilità -, espresse concretamente dalla corporeità. Questi riti, quando vengono disattesi, non scompaiono, ma impazziscono: danno origine alle derive del «branco», ampiamente diffuse nella nostra società. Le violenze delle baby gang, il bullismo maschile e femminile, gli stupri di gruppo, lo sballo del sabato sera, i comportamenti sessuali a rischio, l’assunzione di droga in gruppo, ma anche la pratica del piercing e delle trafitture, dei tatuaggi, l’attrazione verso l’horror e il macabro sono riti di iniziazione impazziti, richieste degenerate dei giovani di prendere contatto con la dimensione della corporeità, della relazione, dell’aggressività, della sofferenza e della morte (del proprio limite di creatura), ma senza che vi sia più un adulto o una comunità capace di accompagnarli. Per questo restano richieste disattese.
Il secondo grave campanello d’allarme della dimenticanza del divieto è simboleggiato da uno strano paradosso: quanto più proclamano l’autonomia e l’indipendenza, il «farsi da sé», tanto più l’uomo e la donna si scoprono dipendenti. «Il termine autonomia furoreggia, eppure non sono mai state osservate come adesso tante personalità dipendenti in età adulta: tossicodipendenza, dipendenza sessuale, dipendenza pornografica, dipendenza da internet, dipendenza affettiva, dipendenza dal gioco, dal lavoro, dall’alcool, dagli acquisti. Oggi tutto è suscettibile di diventare dipendenza».
«Sarete come Dio» (Gen 3,5), aveva suggerito il serpente, toccando evidentemente un tasto sensibile. Ma quando dimentica il divieto, l’uomo smarrisce le sue radici: non diventa Dio, ma diventa «di sabbia». Più cerca di raggiungere la perfezione, più si scopre nudo. […]
Nonostante la tecnica e la ricchezza di possibilità, l’uomo continua a sentirsi nudo. […]
Riconoscere di essere fragili, di avere dei limiti è, oltre che la nostra verità, la nostra vera forza. Per questo la prima istruzione di Dio è un divieto. La Ternynck conclude la sua lettura sull’attuale difficoltà a crescere con una domanda: «Chi vieta oggi?». Il divieto, il limite, se posti correttamente, cioè all’interno del dono ricevuto e della stima, consentono di fare esperienza della realtà e dell’altro che, in quanto differente da me, non può essere ridotto a mia immagine e somiglianza.                
(Da G. Cucci, La Bibbia come dono culturale. Quattro parole per l’uomo d’oggi, in La Civiltà Cattolica, 3/17 aprile 2021, pp. 32-44).