l’Umanesimo Integrale
Gavino Manca
Leggendo questo articolo si può notare l’attualità del pensiero di Jacques Maritain
l XX secolo ha visto affermarsi due atteggiamenti fondamentali: prima quello di esaltazione dell’industrialismo, soprattutto in relazione ai suoi “effetti di benessere”; poi quello di reazione contro alcune conseguenze che l’industrialismo, spinto ai suoi estremi limiti, provocava nella vita individuale e collettiva. Non è difficile trovare esatte previsioni di questi comportamenti in molte opere di pensatori di differente matrice culturale, da Huxley a Mumford, da Zamjatin a Bulgakov. Autori che delinearono con grande anticipo le dimensioni di quella che può considerarsi la sintesi dei mali della nostra epoca: l’alienazione.
Nei drammatici quadri tracciati da questi lungimiranti pensatori è chiaramente indicata la condizione dell’uomo moderno, ridotto a oggetto di azione e di controllo di un sistema impersonale che nega la comprensione dei legami tra il mondo individuale e la struttura e gli obiettivi dell’organizzazione sociale. E sono precisate le dimensioni, individuale e collettiva, dell’alienazione; la prima soprattutto nell’abbassamento del lavoro da occasione per sviluppare attitudini, capacità, personalità, a mero strumento economico; la seconda nell’isolamento dovuto all’anormale “integrazione” dell’uomo per la rottura delle strutture sociali e normative.
A questa prospettiva tragica del XX secolo si contrappone l’altra, quella della reazione alle patologie della civiltà industriale, nella quale spicca la riaffermazione dei valori della persona e la visione di un “nuovo umanesimo”. È difficile, qui, evitare il riferimento ai grandi pensatori cattolici francesi e in particolare a Jacques Maritain, spentosi ormai novantenne nel
1973 a Tolosa, nel convento dei Petits frères de Jesus dove si era ritirato dal 1960. Nato nel 1882, discepolo e amico di alcuni tra i più grandi pensatori francesi di questo secolo, da Péguy a Bergson a Léon Bloy, Maritain dedicò la sua lunga vita allo studio e all’insegnamento, approfondendo, attraverso una rivalutazione della filosofia tomistica, l’originalità dell’umanesimo cristiano.
Ambasciatore francese presso la Santa Sede nell’immediato dopoguerra, fu intimo amico di Papa Montini, che lo chiamò “il mio Maestro” e lo volle come principale punto di riferimento del Concilio Vaticano II. Autore di Umanesimo Integrale – il suo libro più famoso, del 1936 – e di numerose altre opere l’ultima delle quali, La Chiesa di Cristo (1970), costituisce un vero atto di fede, Maritain aprì con autentica ispirazione l’era del dialogo e del rinnovamento, pur riaffermando la irrinunciabilità alla tradizione e ai valori storici del cristianesimo. Estremamente importante è stata l’influenza che il suo pensiero (da alcuni definito “neotomista”) ha avuto, nello scorso secolo, sulla evoluzione dei rapporti sociali e sul travaglio del mondo cattolico; influenza che può avere provocato turbamenti negli uomini e nelle istituzioni, ma il cui costante riferimento alla “esperienza in umanità” la pone tra le grandi correnti attive della storia.
La persona è il grande mistero metafisico; ‘sappiamo che una delle caratteristiche essenziali di una civiltà degna di questo nome è il senso e il rispetto della persona umana; sappiamo che, per difendere i diritti della persona umana, come per difendere la libertà, bisogna essere disposti a dare la propria vita». Così scriveva Maritain nel 1944; e si chiedeva quale fosse il valore contenuto nella persona per meritare tali sacrifici. «L’uomo è un individuo che si regge con l’intelligenza e con la volontà; non esiste soltanto al mondo fisico, ma sovraesiste spiritualmente in conoscenza e amore, in modo tale che in qualche modo è un universo a sé, un microcosmo nel quale il grande universo tutto intero può essere contenuto con la conoscenza, e con l’amore può darsi tutto intero a degli esseri che stanno a lui come altrettanti se stesso
Ecco la spiegazione teologica di un “sentimento” esploso nello scorso secolo, proprio come reazione alle prospettive (e alle realtà) dell’alienazione, quello della difesa dei valori della persona, primo fra tutti la libertà. “Libertà di spontaneità”, cioè potere di agire in virtù della propria inclinazione interiore e senza soffrire coazione imposta da un agente esterno. Che diventa “libertà di indipendenza” quando varca la soglia del mondo dello spirito; e che «non consiste soltanto nel seguire l’inclinazione della natura, ma nell’essere essa stessa il principio sufficiente della sua operazione, nel perfezionarsi e nell’esprimersi come un tutto indi visibile AI di là delle manifestazioni superficiali e distorsive, come negare a molti dei movimenti giovanili di contestazione globale che sconvolsero gli anni Settanta e Ottanta, l’imperiosa rivendicazione di “libertà di spontaneità” e di “libertà d’indipendenza”? Perché l’uomo è un essere in movimento; tutta la sua storia è la storia dello sforzo per conquistare la sua personalità e, con essa, la sua libertà.
È in questo quadro che Maritain scorge nel “fenomeno socialista- un segnale di progresso storico. Non tanto «per la rivendicazione e la conquista di migliori condizioni di vita materiale, d’un miglioramento, come si dice, della condizione delle classi lavoratrici. No, per quanto possano essere giuste questa rivendicazione e questa conquista, non concernono per sé che una data materia economica, e sono così poco tipiche per il socialismo che si può ritrovarle in concezioni riformistiche o paternalistiche e che, a supporle possibili nel regime attuale, condurrebbero piuttosto a un certo imborghesimento del proletariato», predice Maritain nel 1936, da buon profeta.
Si tratta della presa di coscienza d’una dignità umana offesa e umiliata, e di una missione storica che appare come un progresso considerevole; significa l’ascensione verso la libertà e la personalità, prese nella loro realtà interiore e nella loro espressione sociale, della comunità, insieme, la più vicina alle basi materiali della vita umana e la più sacrificata: la comunità del lavoro manuale (di cui l’espressione attualmente più tipica è la classe proletaria) per la quale si chiede «una specie di maggiorità sociale e una condizione concretamente libera», sostiene ancora Maritain nel suo Umanesimo Integrale.
È a questo che l'”élite” operaia destata alle realtà sociali tiene anzitutto. Per mantenere il senso di questa dignità e i diritti che vi sono legati, è pronta ad affrontare ogni specie di male e a sacrificarsi anche alle ideologie più micidiali. «È la tragedia del nostro tempo», conclude amareggiato il grande filosofo cattolico, «che un guadagno d’ordine primariamente spirituale, come questo, appaia solidale a un sistema ateo come il marxismo». Riaffermazione della persona verso un nuovo umanesimo; attraverso la “convergenza umana” presagita nel disegno evolutivo cosmico di Teilhard de Chardin; l’uomo non può pensare da solo, e anche la meditazione più solitaria è già un dialogo, attraverso il quale l’umanità procede verso la sua unificazione. Esistono ormai una sola scienza e un’unica scena politica: il mondo converge socializzandosi. «Bisogna uscire dalla fase individualistica, ormai sterile, che sta volgendo al termine; il singolo deve aprirsi al collettivo, all’immagine di un’umanità totale assorbita nel suo ultimo destino».