Celebrare la giornata del lavoro significa poter respirare nell’oggi con un polmone nel passato e uno nel futuro. Nel pensiero dei padri costituenti il lavoro è paragonabile all’esodo: è promesso. Esso viene plasmato e si forma in un processo sociale e antropologico dinamico, mai statico.
Per questo, nella Costituzione, il termine più ricorrente, dopo «legge», è «lavoro» (o «lavoratori»). Il significato di lavoro – non riducibile all’occupazione e alla retribuzione – è come una bussola, pensato per orientare il cammino di una società in marcia, chiamata ad attraversare stagioni differenti e nuove sfide. Per esempio, nel tempo dei robot, quale nuovo significato assumerà il lavoro? Quali dovranno essere, a partire dal dettato costituzionale, i (nuovi) diritti e doveri del lavoratore? E ancora: come sconfiggere la disoccupazione e quale formazione garantire ai giovani per prepararli al futuro?
Sembra una provocazione, eppure la Repubblica «è fondata sul lavoro» (art. 1), affermazione da cui discendono diritti e doveri per contribuire al progresso «materiale e spirituale della società» (art. 4 Cost.). Lavorando, infatti, la persona si costruisce e cresce anche spiritualmente perché per i costituenti cattolici il lavoro era inteso come un «atto creatore».
Durante i lavori della Costituente, Costantino Mortati riconobbe al principio lavorista la stessa dignità di quelli democratico, personalista e solidarista. È da questi principi che si definisce la dignità della persona umana come “valore madre” della nostra Costituzione. Nella Costituzione, il significato del lavoro rinvia a quello di dignità della persona. La sua concreta realizzazione significa libertà, crescita personale e comunitaria, inclusione e coesione sociale. Il cittadino non è più definito dal ruolo sociale conferito dalla ricchezza o dai titoli nobiliari, secondo logiche prettamente capitalistiche, ma dal fare bene ciò che gli viene affidato.
La definizione di «lavoro» nella Costituzione del 1948 ha dovuto sottoporsi a tre grandi rivoluzioni: quella fordista, degli anni del miracolo economico italiano, con il tempo della produzione di massa attraverso l’uso dell’elettricità e di un accresciuto utilizzo del petrolio come nuova fonte energetica; la terza rivoluzione, legata alla rivoluzione industriale e alla nascita dell’informatica; infine, la quarta rivoluzione industriale, definita Industry 4.0, che riguarda gli sviluppi dell’intelligenza artificiale, le nanotecnologie, le biotecnologie, il digitale e le loro applicazioni nel mondo del lavoro.
Spetta alle imprese, non allo Stato, creare lavoro. Alle istituzioni è dato il compito di garantirlo, rimuovendo gli ostacoli che ne rallentano lo sviluppo: l’eccessiva burocrazia, i lunghi tempi della giustizia civile, l’enorme tassazione, il contrasto alla corruzione e al clientelismo, il costo eccessivo dell’energia rispetto alla media europea e favorendo l’accesso a tutte le imprese del Paese alla banda larga, l’accesso al credito o a forme alternative di finanziamento come quella del capitale a rischio.
Il principio lavorista esprime una direzione politica su cui costruire e ricostruire il Paese. Facciamo riferimento al diritto alla «retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro», sufficiente per un’«esistenza libera e dignitosa», ma anche a riposi settimanali e ferie annuali retribuite inderogabili (art. 36); al diritto alla «parità della donna lavoratrice» (art. 37); al diritto anche per il cittadino inabile al lavoro ai mezzi necessari per vivere e alla tutela per malattia, invalidità e disabilità (art. 38); al diritto alla libera organizzazione sindacale e allo sciopero (artt. 39 e 40); al diritto alla libera iniziativa privata (art. 41), che «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale». Tutte conquiste importanti che hanno ispirato le riforme nell’età repubblicana. Ma sono anche un dono e una responsabilità, che richiedono agli imprenditori, ai lavoratori, alle parti sociali e ai politici di guardare nella stessa direzione attraverso un approccio olistico al lavoro.
Ma c’è di più. Negli atti della Costituente il lavoro è stato pensato con uno sguardo lucido alla formazione e alla famiglia. Mancano ingegneri, commercialisti, saldatori, cuochi, infermieri, esperti di marketing, falegnami, fabbri e soprattutto professionisti del Tech, i lavoratori del digitale. Lo sviluppo del green nei prossimi anni farà nascere nuovi lavori e richiederà nuove competenze. Molti lavori moriranno, ma altri ne nasceranno. La scuola è chiamata a preparare meglio i giovani per dei profili professionali per i quali, nonostante ci sia domanda di assunzione da parte delle aziende, in concreto mancano circa 300 mila professionisti.
È attraverso i princìpi costituzionali, che definiscono il lavoro, che siamo chiamati a stabilire le tutele previdenziali e assicurative dei nuovi lavoratori. Cosa significherà per loro ottenere un salario equo, condizioni lavorative sicure, tutele degne? Mentre altri ordinamenti, come la Gran Bretagna, hanno esteso le principali garanzie dell’employee, il lavoratore subordinato, al worker, il lavoratore tout court, il nostro diritto del lavoro è ancora attraversato da una linea Maginot tra subordinati con molte tutele e precari, privi di gran parte di esse. Lo dimostra il tema dei riders, che ancora divide la giurisprudenza. Anche l’Organizzazione Internazionale del lavoro sostiene, da molto tempo, la causa del “decent work”, il lavoro dignitoso anzitutto perché garantito e tutelato.
Alla luce dei cambiamenti in atto dobbiamo chiederci se abbia ancora senso la storica contrapposizione tra capitale e lavoro. La pandemia ha colpito entrambi e preparato il terreno per un’alleanza già iscritta nel codice genetico della Costituzione (articolo 46). Lo smart working ne è un importante sperimentazione: la fiducia delle imprese verso i lavoratori si traduce nella loro responsabilizzazione verso obiettivi di produttività con benefici per entrambi le parti.
Nemmeno la logica del profitto a spese dei lavoratori e dell’ambiente ha più senso. La responsabilità sociale deve guidare l’azione delle imprese in una logica di circolarità, nel rispetto del limite e dell’utilità sociale (art. 41 Cost.). Il fallimento del profitto “ad ogni costo” lo hanno riconosciuto anche le voci della dottrina che lo hanno sempre teorizzato, come quella di Porter e Drucker.
Un’altra questione ci sta a cuore: il rapporto tra lavoro e pensioni che richiede un nuovo patto generazionale e il riconoscimento del lavoro degli immigrati. In Italia, su quattro occupati quasi tre sono pensionati e le nascite sono circa 400 mila in meno nel 2020. A ciò si aggiunge un altro elemento di riflessione: in un mercato del lavoro che non cresce anche perché non crescono le nascite, è costituzionale sottopagare il lavoro di alcune professioni? Inoltre, davanti ai tanti privilegi, ai mega stipendi o alle pensioni d’oro e, allo stesso tempo, alla piaga della disoccupazione e del lavoro povero, come l’Ordinamento include i princìpi di giustizia e di solidarietà che definiscono il principio lavorista?
In questo scenario si inscrive il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza del Governo Draghi, che promuove la transizione ecologica e le politiche attive del lavoro, attraverso il rilancio dell’assegno di ricollocazione, la formazione per le nuove competenze, la parità di genere, l’assegno unico, la creazione di asili nido nell’ottica di incentivare le nascite e conciliare i tempi di vita e di lavoro. Il Presidente Draghi lo ha presentato alla Camera dei Deputati il 26 aprile scorso, ricordando che è in gioco il destino del Paese, in particolare dei più deboli, dei nostri figli e nipoti. Si è detto certo che «l’onestà, l’intelligenza, il gusto del futuro, prevarranno sulla corruzione, la stupidità, gli interessi costituiti» visto che l’emergenza ci chiama alla «solidarietà, alla responsabilità».
Nella Costituzione il lavoro, che genera innovazioni al suo interno (come il lavoro 4.0), è pensato nelle logiche dell’economia di mercato, in cui non tutti i beni sono merci (ad esempio, la fiducia, la stima, l’amicizia). Non dobbiamo fraintendere il testo costituzionale e pensarlo, invece, nelle logiche della società del mercato, che tende a monetizzare tutto. Inoltre, occorre riconvertire quei lavori che si basano sul traffico illegale delle armi, la pornografia, il gioco d’azzardo e, più in generale, le occupazioni che non lasciano tempo per vivere o umiliano chi li compie. In questo nuovo scenario antropologico è urgente rilanciare culturalmente il significato della festa e del riposo, dell’educazione ai nuovi tempi e del diritto agli aspetti ludici e gratuiti di cui la vita del lavoratore ha bisogno.
1 Maggio, 2021
di Ciro Cafiero e Francesco Occhetta