Viviamo in un tempo che prende le distanze da tutte le “ragioni forti”, i valori assoluti e le pretese di verità.
di Francesco Cosentino, teologo, docente alla Gregoriana
Il teologo protestante Paul Tillich nel febbraio 1963 si poneva la questione: «Il messaggio cristiano (specialmente la predicazione cristiana) è ancora rilevante per le persone del nostro tempo? E se non lo è, qual è la causa?». A distanza di molti decenni, il teologo domenicano Dominique Collin afferma che «la cristianità è dietro di noi. Possiamo volerla far ritornare come folklore, ma ciò che otterremo da questa operazione di restaurazione sarebbe solo un simulacro». Perciò – continua Collin – a preoccuparci non dovrebbe essere tanto la scristianizzazione che avanza in Europa, quanto il fatto che il Vangelo, imprigionato nei linguaggi e nelle forme tipiche della cristianità ormai superata, venga visto a sua volta come “superato”, cioè come una bella storia del passato, simile a una favola della nostra infanzia che oggi non ha però più niente da dire. Dunque, un Vangelo diventato irrilevante.
E’ significativo – e non poco drammatico – il fatto di essere costretti a sostare sulla stessa analisi di fondo a distanza di così tanti anni. Se ciò da una parte denota che i grandi cambiamenti epocali sono processi lunghi e che, al contempo, le domande della fede sono poste per restare domande che attraversano con pazienza tali cambiamenti senza lasciarsi ingabbiare da facili risposte, dall’altra parte, però, si deve fare un esercizio di “onestà ecclesiale”. Forse, non abbiamo ascoltato sul serio la voce che, già da tempo, la riflessione teologica offre sulla crisi della fede nel contesto occidentale. E, forse, non abbiamo avuto il coraggio di lasciare il porto sicuro delle nostre strutture pastorali e spirituali, per immaginare qualcosa di nuovo. Oggi, però, specialmente per la difficoltà che si sperimenta nella trasmissione della fede alle nuove generazioni, la Chiesa è chiamata a fare una seria riflessione sul proprio compito missionario, in un contesto socio-culturale che, in qualche modo, ha dimenticato Dio.
Si tratta di un tempo – il nostro – che prende le distanze da tutte le “ragioni forti”, i valori assoluti, i grandi ideali, le istituzioni che hanno pretesa di verità. Si preferisce semplicemente abitare il presente senza porsi grandi questioni, senza affidarsi a grandi ideali o progetti, senza farsi troppe domande di senso, senza affidarsi a verità che hanno pretesa di orientare la vita. L’avvento di questo nuovo sentire ha inaugurato una società plurale, in cui si mescolano visioni di fondo, valori, credenze, esperienze e stili di vita.
Dunque, la postmodernità avanzata ha generato un contesto nel quale la cifra dominante è quella del pluralismo. Ciascuno di noi, oggi, vive immerso in una variegata offerta di idee, informazioni, possibilità, scelte etiche, prospettive, senza più un centro. In quest’orizzonte, ovviamente, ogni fede che abbia la pretesa di interpretare e orientare la vita, viene guardata con sospetto. Questo fattore, insieme a tanti altri, corrode da anni lo stato di salute del cristianesimo, mentre specialmente in Europa avanzano una scristianizzazione massiccia e una sempre più marcata indifferenza religiosa.
Non si può sottovalutare, poi, la crisi generata dalla pandemia da Covid-19 per i cui traumi stiamo vivendo tutti, ma soprattutto i giovani, una sorta di “dopoguerra”, con nuove e diffuse paure, difficoltà di gestione della solitudine, problematiche nelle relazioni interpersonali, senso di angoscia riguardo al futuro, necessità di interpretare gli aspetti di fragilità dell’esistenza come la malattia, la sofferenza e la morte…Inoltre la pandemia ha messo in crisi la fiducia nel progresso e in tutti gli aspetti che hanno reso particolarmente fragile la terra. […]
In questa situazione, occorre che la comunità cristiana affronti una seria riflessione teologica e pastorale, per rilanciare la missione evangelizzatrice a cui è chiamata. Il pluralismo sfida la Chiesa sul terreno dell’esercizio dell’autorità e del potere, di un reale sviluppo della ministerialità laicale, del ruolo delle donne, di una ridefinizione del ministero presbiterale e di un nuovo stile, accogliente e ospitale, nell’abitare il mondo. L’indifferenza religiosa invoca una rinnovata passione per l’annuncio del Vangelo, ritornando all’essenziale del messaggio, con linguaggi e modelli nuovi e un’attenzione particolare alla trasmissione della fede alle nuove generazioni. (Da Vita pastorale, il mensile per la Chiesa italiana, Edizioni San Paolo, n. 7, luglio 2021, Dossier II, III).