di Roberto Repole, teologo

​Da diversi decenni ci si sente interpellati a essere Chiesa in uscita e ad avviare una nuova evangelizzazione. Specie guardando al vecchio continente europeo, è evidente che la “normale trasmissione della fede”, tipica del lungo regime di cristianità, s’è ormai interrotta. Al di là dei proclami, si avverte però la grande fatica a ricercare lo stile con cui essere missionari oggi. […]

​Oggi la situazione è radicalmente mutata: i cristiani sono pochi e la fede non può essere data per scontata neppure tra le fila di chi compone le nostre sempre più povere comunità cristiane. Per di più, se non si vuole fare dell’invito a una Chiesa in uscita l’ennesimo slogan ecclesiastico, si dovranno evitare due derive, che sarebbero letali: a) quella di pensare alla missione in una modalità che non rispetti profondamente la libertà dell’altro e la sua sensibilità e che, magari insensibilmente, si imponga; b) quella di ridurre la missione della Chies a un dialogo, ma non ritenendo più che esista una verità.

​Forse esiste una piccola strada che può consentire alla Chiesa di essere missionaria oggi, evitando tali tentazioni e derive: è la strada del dono, non certo per caso molto evangelica. Gesù stesso, infatti, inviando in missione i suoi discepoli si è rivolto a loro così: «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt. 10,8). Più ancora: la logica del dono e della grazia caratterizza l’intera vicenda di Gesù e tutta la proposta cristiana.

​La Chiesa stessa nasce dal dono, quello che Dio Padre ha fatto del suo Figlio, culminato nell’offerta dello Spirito (che non a caso è stato denominato Dono), il quale passa dall’umanità risorta di Cristo a noi, facendoci partecipare di lui e rendendoci il suo corpo. Tale dono è assolutamente gratuito, libero e liberante, fedele agli uomini che ne sono i destinatari anche laddove essi rifiutano, vi si oppongono o risultano indifferenti. […]

​Non si può, però, ricevere un qualsiasi dono e trattenerlo come fosse un possesso: questo significherebbe annullare il dono. L’unico modo di riceverlo davvero, senza pervertirlo, è renderlo disponibile per altri. Ciò vale anche per il dono divino che fonda la Chiesa e di cui essa vive. Quest’ultima lo accoglie davvero solo quando lo rende disponibile per altri. […] Essa lo fa anzitutto nell’annuncio evangelico, che potrebbe essere sintetizzato così: c’è un posto per te e per tutti in Cristo. Ma questo è reale solo nella misura in cui la Chiesa si fa spazio accogliente e ospitale per tutti coloro che vogliano prendere in considerazione tale dono e corrispondervi. La forma di Chiesa conforme all’annuncio è quella di comunità ospitali, capaci di accogliere altri facendosi anche trasformare dalla novità di ogni altro rappresentante. […]

​In sintesi, l’invito è far sì che la carità verso tutti gli ultimi sia davvero il riverbero della reciprocità fraterna che si sperimenta tra cristiani. (Da Vita pastorale, il mensile per la Chiesa italiana, Edizioni San Paolo, n. 7, luglio 2021, Dossier IV, V).                 

​    

​