Carlo Petrini, fondatore di Slow food, ha scritto di recente un articolo per il mensile della Chiesa Italiana ‘Vita e Pensiero’ dal titolo Cambio di rotta epocale, in cui si interroga così su quali modelli di vita adottare dopo la pandemia: «Il primato del profitto sopra ogni altra variabile di benessere: questo è stato il paradigma imperante degli ultimi cinquant’anni. Un modello che ha favorito un comportamento consumistico improntato sulla competizione, incapace di riconoscere il giusto valore alle varie forme di vita, nonché fallimentare nel suo unico obiettivo di generare ricchezza e benessere diffuso.
E’, però, giunto il momento di cambiare in maniera radicale il nostro modo di agire e di pensare; la stessa epidemia che stiamo vivendo, evidenzia in maniera netta questa necessità. Mi trovo, infatti, d’accordo con quanto sostenuto da diversi scienziati, ossia che questo virus sia il chiaro segnale che la natura è pronta a ribellarsi a noi, e che questo potrebbe essere solo il primo di una lunga serie di eventi con cui manifesta la sua volontà. Dopo oltre un anno di pandemia, dovremmo avere l’obbligo di cogliere questa suggestione e non ignorare i pochi aspetti positivi che questa drammatica situazione potrebbe lasciarci.
Primo fra tutti la rapida ascesa della malattia: da circoscritta a una regione di un singolo Paese, ben presto è diventata pandemica e, dunque, presente in ogni dove del pianeta. Questo aspetto ha rimarcato in maniera inconfutabile la profonda interconnessione delle parti e l’identico ruolo con cui la natura identifica tutti gli esseri umani: coabitanti di una casa comune. Ecco che una verità così difficile da negare, dovrebbe agevolare il radicamento di concetti come fratellanza, comunità e uguaglianza sociale; capisaldi di numerosi pensieri filosofici, rivoluzionari e religiosi, ma che non hanno mai trovato un risvolto concreto e duraturo all’interno della società.
Ne sono un esempio le forti manifestazioni di vita empatica, solidarietà e compassione a cui abbiamo partecipato, o quantomeno assistito nei periodi più duri del lockdown, caratterizzati da difficoltà, sofferenza e privazione. Non si è, però, mai vista una tale coesione in periodi floridi e di opulenza, dove l’unico imperativo è sempre stato produrre per guadagnare di più. […]
Un altro scenario che si è configurato in questi ultimi mesi è la riappropriazione di un ritmo di vita meno frenetico, più umano, che ci riavvicina a quelli che sono i tempi della natura. Da fondatore di un movimento che ha fatto della lentezza il suo mantra, posso solo dire che questo è stato sicuramente un altro aspetto positivo. Non possiamo più permetterci di farci prendere da una smania consumistica e bulimica che mette in moto una serie di comportamenti poco salubri e, soprattutto, pericolosi per la nostra salute. […]
Ecco, dunque, che in questa fase, sperando che di ripartenza si tratti, risulta doveroso mettere in atto una vera e propria rigenerazione ecologica che parta proprio dal nostro modi di pensare. Nel far ciò credo che ci sia una personalità a livello mondiale che – più di ogni altra – attraverso le sue parole e il suo buon esempio possa stimolarci a superare il paradigma tecnocratico: sto parlando di papa Francesco. Bergoglio ci ribadisce, sin dal 2015- anno della pubblicazione dell’enciclica Laudato si’ -, in merito al bisogno impellente di un’ecologia integrale che rigeneri ogni area del nostro pensiero e del nostro agire: da quella ambientale a quella sociale, da quella economica a quella culturale; partendo proprio dalle azioni quotidiane.
Credo che la chiave di volta per uscire dall’attuale situazione di crisi sia proprio questa: la consapevolezza che ognuno di noi può e deve dare il suo contributo. Sono le scelte che, ogni giorno, prendono le cittadine e i cittadini a rendersi liberi, ma è altrettanto vero che noi tutti dobbiamo iniziare a scegliere per il bene comune. […]». (Da Vita pastorale, il mensile per la Chiesa italiana, Edizioni San Paolo, n. 7, luglio 2021, pp. 22-23).